Pantaloni abbassati e schemi distrutti: il mito di Marcello Lippi

Si scrive Marcello Lippi, si legge “leggenda”. E non solo per la Coppa del Mondo conquistata con l’Italia nel 2006, punta di diamante di una carriera che lo ha reso senza diritto di replica un’icona della storia del calcio. Da Viareggio al tetto del mondo, passando per un’infinità di trofei con la sua amata Juventus compresi cinque scudetti e l’ultima storica Champions League conquistata dal club bianconero ormai nel lontano 1996: non un semplice allenatore, ma un vero e proprio mito reso tale anche da una lunga serie di storie e aneddoti iconici. A cominciare dal suo storico sigaro, passando per frasi e gesti rimasti nell’immaginario collettivo di tifosi e appassionati.
Il gruppo prima di tutto
Uno dei grandi segreti della vittoria del Mondiale, ad esempio, fu la capacità di Lippi di mettere i suoi Azzurri dentro una vera e propria bolla. La sua ossessione per la protezione del gruppo è cosa nota a tutti ed è stata tramandata negli anni dai suoi ex giocatori, che lo hanno sempre visto come un vero e proprio padre. Un esempio lampante arrivò proprio prima della storica semifinale di Dortmund contro la Germania padrona di casa, risolta dalle reti nei supplementari di Fabio Grosso e Alessandro Del Piero. Fu proprio lui a raccontarsi in un’intervista: “Prima di cominciare l’allenamento mentre i ragazzi si divertivano col pallone, vidi delle luci nella pinetina intorno al campo, pensai ci fossero degli operatori con delle telecamere o comunque con delle macchine fotografiche per spiarci. Io non volevo dare vantaggi a nessuno, allora chiamai la squadra e dissi che non avremmo fatto nulla spiegando il motivo. Così andammo davanti la pinetina, ci abbassammo tutti i pantaloni e mostrammo il sedere: evidentemente non c’era nessuno nascosto, altrimenti quella foto avrebbe fatto il giro del mondo”.
Un discorso leggendario
Prima della finale, poi, un altro esempio della sua straordinaria aura. A tramandarlo è stato uno degli eroi di quella Coppa del Mondo, il “suo” Mauro Camoranesi: “Ho ancora i brividi a ripensare al discorso del mister prima della finale: disse i nomi di chi andava in campo e si mise a parlare di tattica. “State attenti qua, state attenti là, mi raccomando questo…”, poi all’improvviso, cambia espressione, si ferma e fa: “Ragazzi, queste sono tutte cazzate, siamo venuti per vincere, andiamo a vincere cazzo!“. E ha strappato il foglio con gli schemi dalla parete con un’energia pazzesca. Noi siamo esplosi in un grido fortissimo. Ci ha dato una carica incredibile”. A dimostrazione di come i grandissimi siano resi tali dalla loro capacità di trovare sempre le parole giuste per ogni situazione. Chiunque, per Lippi, sarebbe andato in trincea a combattere: il premio era e resta la gloria, il legame con un grandissimo che nessuno dimenticherà mai.