Pietrangeli e la Lazio: tra Re Cecconi, Maestrelli e la scelta del tennis
La scomparsa di Nicola Pietrangeli non è stata una notizia triste solo per il mondo del tennis, italiano e internazionale, ma anche per il calcio. Nel corso dei suoi 92 anni di vita il vincitore di due Slam (unico italiano a riuscirci prima di Jannik Sinner) non si è sempre e solo dedicato a pallina e racchetta, ma ha anche indossato gli scarpini inseguendo quel sogno di diventare un calciatore che lo ha accompagnato quando da bambino lasciò Tunisi per trasferirsi a Roma. Proprio nella Capitale, Pietrangeli si incrociò con quello che resterà uno dei suoi grandi amori e delle sue più grandi passioni fino a questa mattina: la Lazio. I biancocelesti non furono solo la squadra per la quale ottenne e superò un provino firmando un contratto a vita, ma anche quei colori che decise di sposare fino ai suoi ultimi giorni. Pietrangeli, come lui stesso ha raccontato, ha vissuto la Lazio in un’epoca storica diventata leggendaria. Ha conosciuto e giocato con Giorgio Chinaglia, ha incontrato e apprezzato Tommaso Maestrelli per le sue qualità umane e tattiche, ha preso e dato calci in quelle partitelle che hanno reso unica e speciale la squadra del primo Scudetto.
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La Lazio nella vita di Pietrangeli
Nicola Pietrangeli spesso si recava a Tor di Quinto negli anni ’70. All’epoca era il quartier generale della Lazio, era lì che si stava concependo quella creatura che sfiorò lo Scudetto da neopromossa nel 1973, ma che lo raggiunse l’anno seguente guidata dai gol e dalla leadership di Giorgio Chinaglia. Il noto tennista approfittava del proprio rapporto con Maestrelli per allenarsi insieme alla squadra del suo cuore. Scendeva in campo in quelle amichevoli quotidiane che finivano quando ormai era buio: quando la squadra in svantaggio segnava la rete del pari, allora arrivava il triplice fischio di Maestrelli che non accontentava, ma neanche deludeva i giocatori. Erano amichevoli tese, fino all’ultimo colpo e Nicola Pietrangeli aveva capito di esser diventato ormai uno di loro. Le arrabbiature di Re Cecconi per i passaggi mancati, i calci che gli arrivavano quando provava un dribbling, gli stessi che subivano D’Amico, Garlaschelli e tutti gli altri.
Il calcio prima del tennis
Sono attimi di storia, unione di due sport distanti: piccole cornici che tutti coloro i quali hanno vissuto quell’epoca porteranno sempre nel cuore. Anche Nicola Pietrangeli, prima di andarsene, ha spesso fatto riferimento a quei giorni. Ha parlato di quando era pronto a vestire la maglia della Lazio, prima di ‘scontrarsi’ con la volontà della società e intraprendere la via del tennis. Ha raccontato di quelle ore passate sul campo di Tor di Quinto e di quanto la pesante leggerezza di quella squadra lo aveva travolto.
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Il racconto di Pietrangeli
«Un giorno incontrai Maestrelli perché abitavo vicino a Tor di Quinto e che conoscevo, a cui chiesi di visitare il contro sportivo. Mi invitò, mi presentò allo spogliatoio e mi misi a giocare in allenamento con loro. I giocatori mi davano del lei e mi chiamavano “Signor Pietrangeli”. Dopo 10 giorni ci mandavamo a quel paese al punto che Re Cecconi si lamentò con me perché non gli avevo passato una palla. Gli ricordai che lui era in Nazionale e io ero solo un dilettante e si mise a ridere dandomi ragione. Pensate quanto fossero competitivi anche in allenamento. Da loro ho imparato questo atteggiamento. Mi sono allenato con la Lazio per tre mesi e le regole tecniche e le botte valevano anche per me. Come se fossi stato un giocatore vero». La Lazio da calciatore: «Da giovane feci un provino con la Lazio, firmai un cartellino a vita che penso che ormai non esista più. Ho anche chiesto a Lotito se per caso lo ritrovasse. Fino ai 18 anni ero più bravo a calcio che non nel tennis. La Lazio mi voleva dare in prestito alla Viterbese, ma io volevo viaggiare e quindi mi diedi al tennis».
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