L’amicizia speciale tra Pietrangeli e Panatta: dal “tradimento” ai finti litigi
Nicola Pietrangeli ci ha lasciato a 92 anni, ma il ricordo del due volte campione del Roland Garros è tenuto in vita da chi l’ha conosciuto profondamente come, per esempio, Adriano Panatta.
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Il rapporto tra Pietrangeli e Panatta
Le parole del vincitore di Parigi nel 1976 fanno emozionare: “Nicola era un uomo che amava la vita, una persona divertente che era tutto meno che serioso, specialmente con me. Eravamo molto amici, abbiamo trascorso insieme le vacanze, abbiamo giocato insieme, abbiamo fatto insieme la tournée negli Stati Uniti. Io a volte mi divertivo a farlo arrabbiare, poi finiva tutto in una grande risata. Siamo stati rivali, anche se per poco, compagni di squadra in quella Coppa Davis che ha fatto la storia. Nicola era stato determinante per farci andare in Cile. Si è battuto molto durante la polemica politica per far sì che andassimo a giocare la finale. Grandissimo tennista, sublime, forse il giocatore e l’uomo più elegante che abbia mai conosciuto. Un esteta in campo e fuori. Non voglio farlo passare per un santo, Nicola era uno che diceva sempre quello che pensava, e avrebbe potuto fare di tutto nella vita tranne che il diplomatico”.
Ad accendere la miccia della tensione tra i due è stata la vicenda definita da Pietrangeli, “il tradimento”: “Nel 1978 a Firenze si è riunita la squadra della Davis con il presidente Galgani. E mi hanno fatto fuori. Adriano poteva difendermi, non l’ha fatto“. Panatta ha sempre respinto le accuse: “La verità è che Nicola aveva tutti i voti contro già prima che la riunione cominciasse. Il mio fu l’ultimo, ed era un modo per dire agli altri che ero disposto a condividere le loro decisioni, a non spaccare il fronte“.
Ma il rapporto era rimasto di grande amicizia nonostante la diversa fede calcistica, laziale Pietrangeli romanista Adriano, come sottolineato da Panatta in una intervista rilasciata alla Rai subito dopo la morte di Nicola: “Nicola era il mio amico, anche se ci beccavamo ogni tanto, ma era un gioco che facevamo”.