Italia, Gravina: “La Norvegia è più forte! Molti giocatori…”

Gabriele Gravina ha commentato il momento che sta vivendo l'Italia e la sconfitta contro la Norvegia
Gabriele Gravina
Gabriele Gravina

La sconfitta dell’Italia contro la Norvegia ha creato un nuovo terremoto in casa azzurra. Il futuro di Spalletti è in bilico e martedì, il giorno dopo la partita contro il Moldavia, il commissario tecnico avrà un incontro con il presidente della FIGC, Gabriele Gravina, per discutere la situazione intorno alla Nazionale. L’ipotesi di un’altra mancata qualificazione al Mondiale – sarebbe la terza consecutiva – è oggi nitida e concreta. Il 3-0 contro Haaland e compagni pone l’Italia in una posizione sfavorevole che, oggi, significherebbe playoff e rischio concreto di restare ancora una volta fuori. Un’eventualità che proprio Gabriele Gravina ha commentato in conferenza stampa, facendo il punto della situazione.

Gravina sulla Norvegia

«La Norvegia ha avuto crescita esponenziale, ora è tra le più forti in senso assoluto. Oggi rappresenta qualità straordinarie. In questo momento è più forte di noi. Si può anche perdere però bisogna capire come si perde. Il nostro campionato ci ha consegnato giocatori stremati. Molti giocatori sono arrivati pochi giorni prima della partenza, non si può preparare una partita contro una corazzata in così poco tempo. È evidente che se perdi giocatori per infortunio su cui avevi lavorato in avvicinamento alla qualificazione al mondiale se la partita non è stata sentita come avremmo dovuto è un problema. Non voglio nemmeno pensare a un’Italia senza Mondiale».

Il caso Acerbi

«Ho parlato a lungo con il ragazzo e in queste ultime ore con Spalletti. Non c’è spaccatura, c’è non molta lucidità dovuta a stanchezza fisica e a progettualità innovative che non abbiamo mai vissuto. I vecchi campioni non hanno mai vissuto l’intensità di questo calendario: l’11 diversi calciatori partono per il nuovo Mondiale per club, è una novità assoluta. Non c’è spazio per le competizioni, e la sommatoria di tutti questi elementi ha generato stanchezza fisica. Quando non sei molto brillante non sei molto lucido, c’è anche tanta amarezza: se pensate che l’ambiente viva questo con grande distacco, sbagliate. Non è così. Leggo cose stravaganti, anche di chi non conosce il regolamento: ho sentito commenti così negativi sulla nostra competizione, di gente che già celebrava la mancata qualificazione al Mondiale come se fosse già eliminata. È la prima di otto partite, non tutti sanno che non valgono gli scontri diretti in caso di arrivo a pari punti, ma la differenza reti: giochiamo! Noi dobbiamo andare al Mondiale, non piangersi addosso e cogliere l’occasione per attivare movimenti di critiche soggettive legate a uno o all’altro »

Il progetto dell’Italia

«È un progetto a cui credo, noi abbiamo investito tantissime energie: sento critiche da gente che chiede cosa abbiamo fatto. Guardate i risultati delle giovanili: sono storici. Non voglio elogiare il nostro operato, ma è assurdo non valorizzare aspetti progettuali di un percorso che ha portato alla prima vittoria storica dell’Under 17 in Europa, e a tanti altri risultati. Pensate davvero che, dopo aver abbandonato per ragioni anagrafiche grandissimi campioni, l’Italia potesse vivere di rendita sulla sua storia? No, la storia si costruisce: non si tramanda come fosse un’eredità. Dobbiamo guardare ad altre nazioni, l’Italia peraltro ha vinto per la prima volta il premio Burlaz (dedicato dalla UEFA alle federazioni con i migliori risultati giovanili, ndr): chi lo ha vinto, poi nel giro di cinque anni ha vinto Europei o Mondiali, unica eccezione l’Inghilterra che ha perso con noi in finale degli Europei. Vuol dire che la Nazionale del futuro la stiamo costruendo nel tempo. Poi ci dobbiamo assumere delle responsabilità, io per primo: dobbiamo accelerare. Come accelerare? Su una valorizzazione dei giovani, non possiamo avere tre macro-aree che lavorano senza dialogare: settore tecnico, settore giovanile, Club Italia. Fondiamole, con un unico direttore tecnico. Noi abbiamo 50 centri federali sparsi in Italia: lo dico onestamente, è un progetto da rivedere. Ci vuole più tecnica. È quello il momento dell’educazione: noi siamo abituati a imporre ai ragazzi una metodologia legata alla pedagogia delle competenze. Pensiamo di doverli rendere tabulae rasae da riempire di nozioni: noi dobbiamo porre un seme, e dobbiamo farlo non solo nella scuola ma anche nella scuola calcio. Il talento c’è, lo confermano le certificazioni. All’ultimo mondiale Samuele Inácio ha fatto benissimo e ora andrà al Borussia Dortmund: al talento servono opportunità, e per averle servono coraggio. Due anni fa Lamine Yamal o Antonio Nusa non erano quelli che sono oggi, lo sono diventati con la possibilità di giocare: qualcuno ci ha creduto».

Le dimissioni?

«Non vedo possibilità di mollare in un momento così delicato. Se dovessi immaginare ipotesi alternative possano dare un contributo innovativo e stravolgente lo farei, ma sono convinto del contrario: potrei generare un ulteriore danno. Abbiamo obiettivi, dobbiamo portare avanti il lavoro condiviso in particolare con la Serie A: erano anni che non avevamo modalità di dialogo e di collaborazione come in questo periodo, fondamentale per il sistema».

La limitazione degli stranieri in Italia

«Purtroppo no, ci sono norme legate alla tutela del lavoro e alla libera circolazione dei calciatori. Parlo degli europei, non puoi impedire l’ingresso: per gli extracomunitari esiste già un limite dettato dalla Bossi-Fini, il più restrittivo a livello internazionale. Pensare di imporre a società di capitali di perseguire interessi diversi è impossibile. Non è un problema di vincoli, ma di vocazione: l’investimento sui giovani non è una prerogativa solo di alcune realtà nell’interesse della Nazionale, ma è una scelta di visione. Di chi ritiene che i vivai e le infrastrutture siano la soluzione per il futuro. Se qualcuno mettesse obblighi, e qualche soggetto facesse ricorso, sarebbe peggio».

Lotito

«Non mi va. Non posso rispondergli, lui più volte tende a portare i discorsi a livelli molto bassi e lì è imbattibile, non accetto la sfida su questo terreno. Non si può affrontare un tema così delicato con il rancore che ha sempre distinto la sua attività nei miei confronti. L’etimologia di rancore porta al rancido: è qualcosa che non mi appartiene. Lascio a lui quelle espressioni. Gli attacchi di certi soggetti, come questo personaggio: sono l’emblema di un immobilismo che abbiamo ereditato, ma che dobbiamo rivoluzionare. Sono strumentali e inutili. Mi ha dato fastidio una scarsa informazione dei temi reali, un attacco a una persona che io stimo, perché è la persona più corretta che abbia mai incontrato nel mondo del calcio».

Spalletti e il suo futuro

«Spalletti è una persona straordinaria, di animo nobile: gli attacchi che sta subendo in questo momento sono immeritati. Lo dico con amarezza e morte nel cuore: è una persona per bene, davvero. Lui al calcio serve, fa bene, ed è un grande signore: io in queste ore ho parlato a lungo con lui, e gli lascerò alcune considerazioni che continueremo a fare. Ha subito un attacco mediatico immeritato. L’ho trovato molto combattivo, ha indossato l’elmetto. Molto ferito, ha sempre inteso il suo ruolo come un servizio all’Italia: è questo che dobbiamo trasmettere. Se io ho responsabilità, se le ha lui, forse non siamo stati bravi a far capire ai ragazzi cosa significa l’orgoglio di appartenenza a questa maglia. I ragazzi dell’82 e del 2006 forse tecnicamente erano inferiori ad altre squadre, ma avevano voglia di dimostrare di essere italiani. Noi dobbiamo dimostrare questo, che l’Italia è l’Italia: dobbiamo rialzarci subito, non possiamo pensare che, per una caduta o per un incidente che dura da tempo, dobbiamo trovare alibi. È il metodo peggiore, e non è sbagliato solo nel calcio e nella vita. Stiamo parlando: con grande senso di responsabilità dobbiamo trovare un modo di rilancio domani sera e poi dobbiamo arrivare nelle migliori condizioni per affrontare le ultime sei partite, sapendo che la Norvegia arriverà poi in Italia. Non c’è un appuntamento fissato per martedì, c’è un continuo contatto. Io parlo tantissimo con Luciano, abbiamo parlato ieri sera fino a tardi. Lui è una persona molto responsabile, gli faccio i complimenti. Oggi continueremo a parlare e poi vedremo cosa verrà fuori».

Come si può crescere?

«È un insieme di elementi. Oggi c’è tanta bulimia dei mezzi e tanta anoressia o anemia dei fini. Nel mondo del calcio dobbiamo scoprire anche il senso di un fine di interesse nazionale, di sistema: abbiamo abbandonato, ahimè, gli unici due asset fondamentali per dare stabilità e stiamo scoprendo il prezzo da pagare. Spesso si parla dei contenitori come fini a sé stessi: penso al concetto di sostenibilità, se non si pensa al contenuto. Io, insieme ad altri amici che hanno responsabilità nel mondo del calcio, ho avuto il piacere di vivere finali di Champions o di Europa League in strutture eccezionali: in Italia facciamo fatica a mettere insieme strutture per difendere la candidatura a Euro 2032. La dice lunga sulla difficoltà di capire che gli unici due asset fondamentali siano strutture e settori giovanili: a noi manca questa logica. Noi non possiamo pensare di vivere solo sulla base del risultato: se non abbiamo le strutture diventa tutto faticoso».

Il valore della maglia dell’Italia

«La maglia azzurra non è un colore, è un’eredità e questo dobbiamo far capire ai ragazzi. È un’eredità storica. Quando indossi quella maglia porti addosso il peso, orgoglio di milioni di cittadini. Ed è una maglia che non ti appartiene, te la prestano. Quella maglia te la prestano i bambini che ti guardano perché sognano di indossarla, te la prestano quelle persone che quando cadi vogliono vedere nei giù occhi la voglia di volerti rialzare. Quando la indossi sei un popolo, se noi non facciamo capire questo…».